Londra

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ro-mario
00venerdì 8 luglio 2005 20:16
Londra. Chi mi conosce un pochino sa che è tra i pochi veri amori della mia vita. E mi fa male vederla ferita così. Andare a pranzo e venire investito da stazioni della metropolitana sventrate dalle bombe, da zone che conosco benissimo piene di feriti.
Forse ce la siamo cercata, e in fondo c'era da aspettarselo: ogni mattina nell'underground mi veniva in mente quanto potesse rivelarsi facile far scoppiare una bomba in mezzo a tutto quel casino, a tutta quella gente che entra correndo, che sale le scale mobili restando ferma sulla destra, con un sacco di personale di controllo, vero, ma in un posto in cui non si può mica controllare tutti quelli che entrano. E poi, se succede qualcosa, mica si può scappare....
boh, stamattina ho letto un bel pezzo di Severgnini che, ovviamente, vi posto subitamente.
Bando alle tristesse, ci si vede in terra sarda.

Il Tube, 408 km di democrazia che fanno accettare la paura.

Vanto e dannazione. Ma senza il metrò, Londra perderebbe la sua identità
di Beppe Severgnini

Grace under fire è una bella espressione inglese e vuol dire: eleganza sotto il fuoco nemico. Significa non agitarsi inutilmente, comportarsi con dignità, accettare le circostanze e la sorte. C’è chi la considera freddezza, o insensibilità. È invece il comandamento stoico che regola la vita di tanti: inglesi di nascita, o londinesi d’adozione.

Grace under fire: ricordiamocelo, in queste ore. Se loro non si strappano i capelli, evitiamo di farlo noi. La cattiva letteratura, in tempi normali, annoia. In giornate come queste, irrita. Londra merita di più che aggettivi a raffica e superlativi inutili. La forza di questa città non è dovuta a qualche motivo mistico, o a un’educazione particolare. È una conseguenza della difficoltà, ma anche della volontà, di stare insieme: in tanti, così diversi.

L’aneddoto preferito di Montanelli sulla capitale britannica riguardava un barbiere che, dopo un bombardamento della Luftwaffe, accolse Winston Churchill in visita con un cartello piantato sulle macerie Business as Usual, si lavora come al solito. Il primoministro, sigaro in bocca, lodò pubblicamente, e con passione, la tempra britannica.

Finché il barbiere non si presentò: «Pasquale Esposito, napoletano».
Non è cambiato niente, in sessant’anni, ed è cambiato tutto. I napoletani di ieri sono gli europei, i cinesi, i pakistani, i coreani, i canadesi, gli australiani e i brasiliani di oggi. Londra è di tutti. Esiste, è ovvio, un establishment: ma a differenza del nostro, che è sfuggente e impenetrabile, quello britannico è dichiarato, permeabile, quasi ingenuo nelle sue manifestazioni (scuole e club, beneficenze e onorificenze). Hugh Montgomery-Massingberd, autore di L’aristocrazia britannica, ha scritto che le classi sociali, a Londra, «sono come gli scompartimenti intercomunicanti dei treni moderni: uno viene costantemente spintonato dalla gente che va su e giù». Avrebbe potuto paragonarle alle scale mobili della metropolitana: ogni mattina sono la più ovvia, lunga, affascinante e rumorosa prova di mobilità del pianeta. Chi ha deciso di colpire il «Tube» non se l’è presa solo con un mezzo di trasporto, ma con un sistema di convivenza. Ha insultato quattrocentotto chilometri di democrazia. Aggiungendo, alla vigliaccheria, l’infamia.

Certo: l’«Underground» è vulnerabile. Lo sapevano gli specialisti di Scotland Yard e lo capiva il turista appena arrivato da Schio.
Centosettantuno chilometri stanno in galleria; profondità media, ventiquattro metri. Le scale mobili sono quattrocentotto — curiosamente, lo stesso numero dei chilometri di binari —. Nel 1987 trenta persone morirono per colpa di un mozzicone, e della bizzarra idea di mantenere scale di legno in un labirinto di tunnel. Un attacco terroristico, l’aspettavano tutti.

Quello che è successo ieri era già accaduto cento volte nelle fantasie ansiose di chiunque sia sceso per quelle scale mobili. La metropolitana a Londra si chiama underground, «sottoterra». Non è solo un dato di fatto: è una minaccia, e l’annuncio di una punizione. Quando scendete ad Angel, sulla Northern Line, voltatevi indietro: trecentodiciotto scalini vi guardano dall’alto in basso, e vi rivelano l’onesta ipocrisia di quel nome celestiale. Il Tube di Londra è la prova generale dei servizi igienici del purgatorio. È immenso e imprevedibile: suoni insoliti s’incrociano con spifferi misteriosi e odori indecifrabili. Di tanto in tanto, gli annunci degli altoparlanti informano che «il servizio è temporaneamente sospeso». I londinesi — di nascita, d’importazione — non domandano se è stato un guasto, un allarme, uno sciopero o un suicidio. Girano i tacchi e riemergono nella luce bianca di Londra, vagamente sollevati. Mafinché restano lì sotto, si fidano: viaggiare nella metropolitana è sempre stato un segno di fiducia nell’umanità. Esistono strane solidarietà e irritazioni codificate. Ieri al sito ufficiale del Tube, insieme a laconiche notizie («In seguito agli incidenti presso le stazioni di Aldgate, Russell Square ed Edgware Road, e sul London Bus n. 30 a Woburn Place, la polizia consiglia di controllare l’itinerario prima di tornare a casa») compariva la classifica dei comportamenti giudicati più irritanti dai viaggiatori: 1. La gente che non dice excuse me, please e thank you; 2. La gente che chiede soldi; 3. La gente che ascolta i personal stereos a volume troppo alto; 4. La gente che sta a sinistra sulle scale mobili; 5. La gente che allarga le gambe occupando lo spazio del vicino; 6. La gente che si ferma di colpo all’inizio o alla fine delle scale mobili.

La prima linea è del 1863. La vecchiaia della metropolitana è, insieme, un vanto e una dannazione. Per essere stati i primi, i londinesi pagano un prezzo non indifferente. Mentre i greci e i portoghesi inaugurano metrò rapidi, efficienti e sicuri, gli inglesi devono adattare, rappezzare, ricucire, ridipingere e ripulire quello che hanno già. Le stazioni moderne — inclusa la Docklands Light Railway, unico caso al mondo di linea futuribile subito vecchia — sono poche; le altre sono geniali ristrutturazioni (Liverpool Street), volonterosi make-up (Tottenham Court Road) oppure restano caverne preoccupanti. Scendete con una valigia a Covent Garden, Notting Hill Gate, Piccadilly Circus, Holborn: solo i dannati si sobbarcano sforzi del genere. Pensate, quando siete ad Hampstead: non sono un minatore, e sto 58 metri sotto terra. Ma le carenze della metropolitana — le macchine dei biglietti che dicono Exact Fare Only (solo importo esatto), le tavolette di cioccolato blindate dentro distributori che non funzionano, il cancelletto-con-ganasce che sembra riconoscere il turista dal passo, e ama umiliarlo, richiudendosi vigliaccamente su di lui—diventano accettabili, per chi vive a Londra. La mappa del Tube corre nella testa degli abitanti, come un liquido di contrasto multicolore. Certi spostamenti — una ragazza a Sheperd’s Bush se vivi a Leytonstone, un cinema nel West End se lavori nelle Docklands—non sarebbero possibili: i tassisti hanno una conoscenza enciclopedica della città, ma ancora non volano. Così bisogna scendere, spegnendo ogni volta quel piccolo allarme nella testa. Going Underground, where the brass band's bare feet start to pound, cantava Paul Weller: «Vado nell’underground, dove i piedi nudi dei suonatori cominciano a battere il tempo». Ma lui a quei tempi era giovane e poetico: due aggettivi che non valgono per tutti quelli che ogni mattina s’accalcano a Victoria, la stazione più affollata (76 milioni di passeggeri l’anno).

Per ingannare le ansie e le attese—gli inglesi, salvo eccezioni, non conversano con gli sconosciuti — molti leggono. Leggono i grandi manifesti incollati sui muri concavi delle gallerie, romanzi in edizione economica, documenti di lavoro, giornali. Leggono e ascoltano musica per non pensare che qualcuno potrebbe, in ogni momento, approfittare della loro precarietà traballante.

Ieri è successo. Ma, forse, il mostro che ha fatto una cosa del genere non si rende conto d’aver svegliato un avversario più forte di lui. Londra non è Washington né Pechino: non è, ormai, la città più potente del pianeta. Londra è Londra: la capitale del mondo. Le Torri Gemelle, agli occhi di qualche pazzo, potevano sembrare la «torri del potere». Il London Tube sarà solo un tubo, ma è di tutti. E chissà che da lì salga, finalmente, la risposta di tutti. Cantavano i Clash, venticinque anni fa: London calling to the faraway towns / Now war is declared, and battle come down / London calling to the underworld / Come out of the cupboard, you boys and girls.
È Londra che chiama le città più lontane / Ora la guerra è dichiarata, comincia la battaglia / ÈLondra che chiama tutti gli esclusi /Uscite allo scoperto, ragazzi e ragazze.
A me piace, e a voi?

08 luglio 2005

Instant Karma
00lunedì 11 luglio 2005 02:57
La pagliuzza ed il trave...
Inutile dirlo... mi spiace e sono preoccupatissimo per quanto sta succedendo, ma l'apologia di Londra di tal Severgnini (o come cazzo si chiama) mi fa vomitare quasi tanto quanto le bombe che quella città han ferito.
Non posso far finta di non sapere che un alibi a certe nefandezze terroristiche è stato donato a quei pazzi bombaroli anche da Londra... non posso far finta di nulla... non riesco ad immedesimarmi nello struzzo di turno che non si scandalizza davanti a veri e propri genocidi e poi basisce per quattro bombe su Londra.
S'è voluto dirimere alcune faccende a suon di petardi (petardi?) mettendo da parte diplomazia e politica... s'è voluto prendere per il culo il mondo intero giustificando una guerra assurda contro un regime (ma nessuno u.s.a. guardarsi allo specchio?) reo di accumulare "armi di distruzione di massa" e contro un intero popolo, un'intera civiltà (certo, inferiore alla nostra, per carità... ci mancherebbe altro!) inerme... Sono convinto che se si facesse una conta delle bombe fatte esplodere... beh, non credo che i più terroristi risulterebbero essere "i terroristi"... C'è ben altro governo che u.s.a. terrorizzare il pianeta (anche se, ovviamente, lo fa a fin di bene... il proprio bene, naturalmente) e tanti governi pidocchiosi che a fronte di miopi tornaconto han messo a repentaglio la vita di noi tutti.
Londra è un simbolo... un simbolo che in questo momento non mi piace affatto... mi spiace per quei londinesi che probabilmente poco o nulla avvevano a che fare con la spartizione dei pozzi di petrolio e con la "normalizzazione" del territorio dove costruire oleodotti per trasportare in modo più economico l'oro nero da quelle lande sottosviluppate alle nostre rigogliose democrazie.
Chi ha voluto la guerra ora ne sopporti i costi senza demagogici piagnistei... cordoglio, quindi, per quei cittadini che han pagato a caro prezzo una guerra che non gli apparteneva (siano essi londinesi, americani, italiani, arabi o extraterrestri) ma, per piacere, piantiamola lì con l'indignazione idiota di chi si scandalizza perchè ad essere colpita è stata Londra.
Le bombe sull'Iraq non sono state meno devastanti... e non solo quelle.



P.S. Andate in pace... come disse il nostro governo alle truppe inviate in terra irachena. Amen.

Prrrrrrrr!

[SM=g27837]



ro-mario
00martedì 12 luglio 2005 00:58
Re: La pagliuzza ed il trave...

Scritto da: Instant Karma 11/07/2005 2.57
Inutile dirlo... mi spiace e sono preoccupatissimo per quanto sta succedendo, ma l'apologia di Londra di tal Severgnini (o come cazzo si chiama) mi fa vomitare quasi tanto quanto le bombe che quella città han ferito.
Non posso far finta di non sapere che un alibi a certe nefandezze terroristiche è stato donato a quei pazzi bombaroli anche da Londra... non posso far finta di nulla... non riesco ad immedesimarmi nello struzzo di turno che non si scandalizza davanti a veri e propri genocidi e poi basisce per quattro bombe su Londra.



la guerra in Irak è senza giustificazioni, la politica anglo-americana nel mondo si basa sulla sopraffazione... sì, è vero. Ma mi chiedo: cosa cazzo c'entra?
Se è pur vero che una bomba è sempre una bomba, e mi dà fastidio che esploda in qualunque posto, è anche vero che io (a torto o a ragione) mi sento più coinvolto quando una bomba esplode in un posto che conosco bene, che frequento spesso ed in cui ho degli amici.
Severgnini è un londinese d'adozione, perché Londra (con tutti i suoi difetti) è una città che ti avvolge con la sua atmosfera, che ti conquista in pochissimo tempo ed a cui "senti" di appartenere fin troppo in fretta. Questo è successo a lui come a me. E quindi, mi sento in pieno diritto di commuovermi, incazzarmi e preoccuparmi per quelle quattro bombe.
Il problema vero è, semplicemente, che chi ha le armi, da sempre, le usa. E quindi non mi stupisco se gli u.s.a. si arrogano il diritto di governare il mondo come vogliono loro, se gli inglesi si accodano per averne qualche fettina anche loro, se gli arabi fanno esplodere le bombe a Madrid, a Londra e in Israele. Non mi stupisco, ma m'incazzo lo stesso.
quindi, mio caro nottambulo... condivido in pieno l'articolo di Beppe Severgnini e resto della mia idea.

[SM=g27837] anche a te!
Instant Karma
00mercoledì 13 luglio 2005 00:05
eppure...
ho partecipato ad un concorso di colpa... ma non ho vinto nulla
Bergonzoni (rivisitato)

P.S. ognuno è libero d'incazzarsi, indignarsi, spernacchiare e far le boccacce... ci mancherebbe altro!

P.P.S. son contento che finalmente il problema del terrorismo sarà risolto... certo però che se sti terroristi avessero colpito Londra l'undici settembre... adesso non ci ricorderemmo neppure più il significato della parola "kamikaze"... ehssì! perché Londra magari se ne fotte dei morti ammazzati in giro per il mondo... e non interviene (non interviene?)... ma non gli toccate il "tubo" (quello di tutti, ovviamente) perché allora s'incazza, s'indigna, spernacchia e fa le boccacce... e per i terroristi è la fine... ed anche per questo post.

[SM=g27837]

[SM=g27831] (basisco)
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